Gernika Lemoizen

Gernika Lemoizen

Una danzatrice italiana di flamenco contemporaneo, un viaggio nei Paesi Baschi, la voce di Mikel Laboa. Gernika Lemoizen.
 
Titolo: Gernika Lemoizen
Genere: Videodanza
Danza: Manuela Carretta  
Camera, montaggio e regia: Irati Gorostidi  
Produzione: Juan Gorostidi per la Catedra Mikel Laboa (UPV)
Anno e luogo di produzione: 2013, Paesi Baschi

Proposto da: Marina De Franceschi

Cosa fa sì che una danzatrice italiana di flamenco contemporaneo, in un primo viaggio ai Paesi Baschi, rimanga fulminata dalla voce di Mikel Laboa e decida di dedicare alcuni anni alla ricerca di una danza che possa riflettere la potenza evocatrice di quella voce e di quelle melodie?
La danzatrice è Manuela Carretta, e da questo percorso sono nate diverse coreografie, di cui una ne è forse l’emblema. Si tratta di Gernika Lemoizen, Gernika a Lemoiz, dove quest’artista italiana, in collaborazione con la allora giovanissima cineasta basca Irati Gorostidi, riesce a plasmare un’opera visuale di grande impatto e commozione, caratterizzata da incroci fra riferimenti dotati di forte simbolizzazione. Essi sono:

Il luogo

Lemoiz 2013, Bizkaia. La centrale nucleare di Lemoiz è ora un guscio di cemento vuoto e postapocalittico, eroso dal tempo e dalla forza implacabile del mare su cui si affaccia, un sarcofago spettrale che si erge lungo la costa vasca a 15 km da Bilbao. In questo contesto di rovina, abbandono, deformità dell’opera umana e del suo proposito, si svolge la danza. L’entrata in questo spazio agli antipodi del sacro altera il senso della temporalità interna ed esterna, come se di un santuario, il santuario della rovina umana, si trattasse.

Il tempo

Lemoiz 1984. La centrale nucleare era finita, mancava solo l’uranio arricchito. Voluto dalla dittatura franchista fin dagli anni ’70, il progetto era stato oggetto di mobilitazioni popolari – dove non mancarono i morti e i feriti – lungo tutto un decennio, grandi manifestazioni che fanno parte della memoria viva di questo paese. Delle tre centrali che Franco voleva ubicare lungo la costa vasca, solo questa fu costruita e, a un passo dalla messa in funzione, il progetto fu paralizzato. In Italia, pochi anni dopo, il referendum popolare del 1987 sanciva il no al nucleare.

La ferita

26 aprile 1937. Durante la Guerra Civile spagnola, le forze aeree naziste insieme a quelle italo-fasciste, in appoggio a Franco, distrussero la città di Gernika, che divenne il simbolo di una tragedia che raggiunse parte della regione. In varie ondate distruttive, lasciarono la città quasi distrutta con centinaia di morti e feriti. Gernika rappresenta l’avvio di una nuova era della concezione della guerra, dove regna l’alta tecnologia: la morte piove dall’alto e da allora in poi le vittime saranno maggiormente civili.

Il grido

1988. Mikel Laboa creò Gernika nel 1972 ma fino al 1988 ne fece diverse versioni. Forse è il capolavoro del cantautore basco, non certamente perché sia il più ascoltato, ma proprio perchè è il più “inascoltabile” in quanto profondamente inquietante. La prima versione dei Lekeitio è quella che più riflette ed emana quel grido primario che squarcia il cuore perché ci contamina con l’incommensurabile della sofferenza umana, con l’inenarrabile della violenza. È questa la versione scelta dalla danzatrice italiana.

Mi domandavo che cosa fa sì che una danzatrice italiana resti folgorata da una voce basca e decida di fermarsi lì ed accoglierla nel corpo danzante. Certamente l’arte è universale: in questi tempi in cui primeggia l’obbligatorietà dell’asepsi, direi che è “contagiosa”: trapassa frontiere, lingue, pregiudizi, paure e convenienze.
Nel caso della danzatrice italiana Manuela Carretta, forse c’è di più; se la memoria è anche la trama occulta di generazione in generazione, lasciarsi contagiare dal dolore di Gernika 1937 provocato da mano italo-nazista è inchinarsi a una necessaria dignità della memoria.

 

Approfondimenti: sotto il video, in euskera, spagnolo, francese, italiano, inglese.